Chiavari, l’apertura diocesana del Giubileo 2025

Un lungo corteo processionale, che dal piazzale antistante l’ospedale di Chiavari ha raggiunto la Cattedrale di Nostra Signora dell’Orto, ha segnato ieri l’apertura diocesana del Giubileo.
Il cammino, aperto dal Santo Cristo venerato nella parrocchia di Santa Maria di Nazareth a Sestri Levante, ha percorso il centro storico per poi arrivare in Cattedrale, gremita in ogni ordine di posti dai fedeli giunti dalle parrocchie del territorio. Qui il vescovo diocesano, monsignor Giampio Devasini, ha presieduto la Concelebrazione eucaristica.
A Genova, invece, la cerimonia di apertura si è tenuta nella Cattedrale di San Lorenzo. «Le parole di monsignor Tasca, che ci hanno richiamato ad aprire il nostro cuore e a combattere ogni tipo di povertà – afferma il presidente della Regione Marco Bucci – siano un faro che guidi la nostra Liguria nel 2025».
L’omelia di monsignor Devasini
Cari fratelli e sorelle,
l’Anno giubilare che oggi inizia in tutte le Diocesi del mondo è un cammino che si annuncia portatore di speranza e di indulgenza.
La speranza cristiana è radicata nell’amore di Dio: amore che si è manifestato in Cristo Gesù, il Figlio del Padre crocifisso, morto e risorto; amore di Dio che continuamente ci viene offerto ad opera dello Spirito Santo; amore di Dio che ci accoglierà quando, con la morte, usciremo dalla scena di questo mondo. A quest’ultimo riguardo è cosa buona ribadire che la speranza nella vita oltre la morte è pienamente cristiana solo se è animata dall’impegno a praticare, nel tempo presente, la Parola del Signore.
La speranza cristiana, nel tempo del nostro pellegrinaggio terreno, dunque non è un sentimento astratto, non è un’attesa passiva, non è una fuga dalla realtà, non è una ingenua illusione.
La speranza cristiana, nel tempo del nostro pellegrinaggio terreno, è un atteggiamento realistico, profetico e rivoluzionario: è vedere oltre le ombre del presente; è continuare a camminare anche quando tutto sembra perduto; è non cedere alla tentazione del disincanto e della rassegnazione; è credere che anche nelle situazioni più buie c’è sempre un germoglio di vita che attende di sbocciare; è non lasciarsi dominare dalla paura del domani; è la convinzione che il dolore e le difficoltà non hanno l’ultima parola; è quella lucerna accesa che illumina anche le notti più buie, spingendo a credere nel potere trasformativo dell’amore; è una forza che permette di affrontare le sfide più complesse della contemporaneità; è non farsi prendere dallo scoraggiamento di fronte ai dati delle indagini sociologiche su fede e appartenenza ecclesiale ma saper cogliere in essi la provocazione ad una maggiore fedeltà al Vangelo; è la «convivenza con l’incompiuto» (Tonino Bello), è «l’aurora dell’atteso, nuovo giorno che colora ogni cosa della sua luce» (Jürgen Moltmann). La speranza cristiana è tutte queste dimensioni ed altre ancora perché si fonda sulla certezza di fede che il Signore cammina con noi; perché si fonda sulla certezza di fede che il Signore, nonostante tutto, sta scrivendo una storia di salvezza; perché si fonda sulla certezza di fede che il Signore agisce nella storia per condurla verso la pienezza del suo Regno.
Come si custodisce la speranza cristiana? Nutrendosi della Parola di Dio, partecipando
alla vita sacramentale della Chiesa e «tirando l’avvenire di Dio nel presente del mondo» (Jürgen Moltmann) e cioè non attendendo passivamente un domani migliore ma lottando qui e ora per realizzarlo. Sì, non si è cristiani se, nella propria vita di ogni giorno, non ci si impegna ad essere artigiani di pace, di giustizia, di perdono, di solidarietà con chi è dimenticato, con chi è stanco, con chi non ce la fa, con chi è solo e abbandonato.
C’è poi una seconda dimensione dell’Anno giubilare e cioè, come ricordavo all’inizio, quella della indulgenza. È una parola che evoca un concetto che sa di lontano, di arcaico, persino di giuridico/burocratico e qui mi fermo. È una parola che evoca un concetto di non facile comprensione e accettazione. Personalmente ritengo che questa parola possa intercettare l’uomo contemporaneo solo se la si intende non come uno sconto di pena – e anche qui mi fermo – ma come un incentivo ad intraprendere con rinnovato vigore una vita buona e santa; solo se la si intende come l’accoglienza – che sempre c’è da parte di Dio – del desiderio di rientrare al più presto in una comunione di amicizia e di amore con Lui e con i fratelli e le sorelle, comunione infranta dal peccato e cioè dall’egoismo e di cui, più o meno consapevolmente, avvertiamo una profonda nostalgia. Va da sé che il desiderio e la nostalgia in questione sono autentici solo se sono accompagnati dalla disponibilità a rimediare, nei limiti del possibile, agli errori commessi e a cambiare vita.
Cari fratelli e sorelle, la risurrezione di Cristo, è l’evento che garantisce che il male e la morte non hanno l’ultima parola. Radicati in questa certezza di fede, aiutiamoci a non lasciarci rubare la speranza, aiutiamoci a «sperare contro ogni speranza» (Rm 4,18), aiutiamoci ad essere pellegrini di speranza e cioè a portare speranza là dove è stata perduta, nelle vite ferite, nelle attese tradite, nei sogni infranti. Sì, la speranza è un dono e come ogni dono soggiace ad un regola ferrea: o è ridonato o muore. Che Maria SS.ma, ci aiuti a ridonare il dono e cioè ci aiuti ad essere, con la parola e con la vita, testimoni credibili e gioiosi di Cristo Gesù, «nostra speranza» (1Tm 1,1). Amen.